L’etichetta Peppermint Jam Records, servendosi di un particolare programma sviluppato dalla sofware house svizzera Logistep Ag (in uso anche dalla polizia polacca), è riuscita ad individuare gli indirizzi IP delle persone che scaricano la musica utilizzando sistemi peer-to-peer. La casa discografica si è appellata al tribunale di Roma per ottenere i nominativi dei ‘pirati’ direttamente dai provider. Il tribunale, dopo un primo rifiuto e la mancata risposta del Garante interpellato, ha acconsentito affinché i provider fornissero i nominativi dei propri clienti. Per questo motivo, circa 3600 utenti italiani, rei di aver aver scaricato qualche canzone prodotta dalla Peppermint, si sono visti recapitare una raccomandata da parte dello studio legale Mahlknecht & Rottensteiner che li invitava a pagare la somma di € 330, con la promessa di non ripetere più l’illecito, pena l’esborso di altri 10.000 euro e l’insorgere di azioni penali o civili da parte della etichetta tedesca. Gli sfortunati ‘smanettoni’ si sono rivolti alle associazioni di consumatori, Adiconsum e Altroconsumo, che immediatamente hanno provveduto a denunciare l’accaduto all’Autorità Garante della privacy. Altroconsumo ha evidenziato l’incostistenza delle prove ottenute grazie all’elvetica Logistep: “…l’IP identifica un pc (in molti casi neanche quello, pensiamo soltanto alle reti Wi-fi) e non chi lo usa, la responsabilità non può essere addossata automaticamente al proprietario e neanche è possibile costringerlo (ammesso che sia in grado di dirlo) a rivelare chi usa il suo computer o a dedurre la colpevolezza da un eventuale diniego”. Il Garante ha deciso di costituirsi in giudizio, per difendere la privacy delle persone coinvolte nella vicenda. Stiamo a vedere chi l’avrà vinta.